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Carlo Rampazzi:

dialoghi, aneddoti e ricordi

Conoscere l’architetto Carlo Rampazzi equivale a entrare in un mondo nuovo, diverso, dove le leggi della Fisica classica lasciano il posto alle regole che lui stesso detta.

Mi rendo conto di come possa lasciare il suo interlocutore con un senso di confusione, di smarrimento e di incapacità di comprensione. Ma se ci si avvicina in punta di piedi, silenziosamente, con animo e mente sensibili, allora si riesce a varcare la soglia, a farsi condurre per mano nel suo meraviglioso universo parallelo.

Bisogna saper ascoltare, percepire, aprire la propria mente e superare le barriere dello spazio e del tempo.

Nell’universo rampazziano, il tempo non scorre nello stesso modo, come viene comunemente misurato sulla terra. Il suo orologio va sempre avanti ed è inutile riportarlo all’ora giusta: dopo poco le lancette si troveranno già a segnare il futuro.

Come mi dice lui stesso: “Sono un anticipatore nato, non mi sono mai sentito parte del sistema, del tempo e del luogo che la natura mi ha  riservato”.

Carlo Rampazzi è sicuro di sé, di quello che è e di quello che vale e che vuole.

Mentre mi parla di episodi della sua vita, penso che sia un testardo, ma di una testardaggine positiva, data dalla consapevolezza di avere ragione.

Da bambino ero già combattente e risoluto. Ricordo quando ogni anno a Natale entravo con mio nonno nel più bel negozio di giocattoli di Ascona, la mia città Natale. Vengo da una famiglia importante e mio nonno era un deciso  conservatore”.

Rampazzi ricorda un anno particolare, in cui non scelse, come gli altri suoi cugini, un trenino o un orsacchiotto. “Detestavo e detesto tuttora i lavori di casa, perciò la mia scelta era caduta su un carrellino per le pulizie. Volevo che fosse un segno di protesta, per dimostrare non ciò che volevo, ma ciò che non volevo. Ovviamente, il carrello fu riportato al negozio, in quanto considerato non consono”.

Passano gli anni e troviamo un Rampazzi adolescente ancor più ribelle: “Un giorno vidi una bizzarra e bellissima cravatta con inserti in pelliccia in una vetrina a Lugano. Avevo deciso che dovesse essere mia. Niente da fare, la cravatto no. Non va bene. Non si fa. Non è conforme.

Ma per me la parola no non esiste e dirmi di non fare una cosa equivale a spronarmi al massimo a farla.

Perciò, utilizzando la volontà di cui la natura mi ha dotato in modo smisurato, ho cominciato a lavorare in un’azienda di vini, attaccando le etichette alle bottiglie. Raggiunta la somma equivalente al costo della cravatta, il mio lavoro era terminato.

Il giorno dopo, ero già a spasso per Ascona sfoggiando il mio nuovo accessorio”.

Seguo i suoi racconti come la trama di un film, ambientato in una tranquilla cittadina la cui vita è messa sottosopra da un giovane folle di una follia razionale, astuto di un’astuzia ingenua, sempre pronto a seguire i suoi desideri e capricci, ma sempre con gentilezza e savoir faire.

Ho dovuto lottare molto contro i rigidi schemi della società, le convenzioni, le abitudini. Ma sono sempre andato avanti per la mia strada. Ho sempre avuto uno spirito selvaggio, inteso come spontaneo, libero, impetuoso, scatenato, inarrestabile e travolgente. Incontenibile e al di fuori di ogni regola. Proprio per questo motivo ho chiamato la mia azienda Selvaggio."

L’architetto Rampazzi mi conduce poi nel suo studio, il suo Sancta Sanctorum.

E’ una stanza molto bella con ampie e luminose finestre che si affacciano su un giardino interno molto curato e adornato con pezzi di arredamento da lui scelti o disegnati personalmente.

Qui incomincia a mostrarmi alcuni pezzi, tra i tanti che sono esposti sulle mensole della libreria o che giacciono su una poltrona o su un tavolo.

Qua e là riposano tagli di stoffe multicolore stampate su suo disegno.

In un angolo due paia di scarpe che mi porge: “Mi sono appena state regalate da Chanel e da Tod’s. Per fortuna ho un piede abbastanza piccolo così riesco a portare i numeri grandi da donna!”.

Sempre in tema di scarpe, mi racconta della sua Bentley, automobile personalizzata apposta per lui dalla casa madre e rivestita con un colore giallo-verde da lui ideato: “Un giorno che mi trovavo a Parigi ho portato la mia amica Olga Berluti a fare un giro sulla mia Bentley. Lei è rimasta affascinata dal colore così inconsueto e che attirava l’attenzione dei passanti, tanto che, appena scesa dall’auto, mi promise che mi avrebbe confezionato lei stessa un paio di scarpe dello stesso colore. E così fu”.

Una persona affabile, gentile e molto attenta. Prima di salutarci, mi ha regalato una sua immagine con tanto di dedica. 

Con Rampazzi si potrebbe parlare per ore, seguendo fili di ricordi, situazioni ed emozioni, senza mai annoiarsi. Si potrebbero fare mille domande, certi di ottenere sempre una risposta sincera. 

D’impulso ho chiesto: ”Architetto, ma quando si guarda allo specchio, che cosa vede?”.

Vedo me stesso”.

Quanti possono dare una risposta così chiara e limpida, senza esitazione?

 

Maria Rosa Sirotti

 

Fotografie: Maria Rosa Sirotti

Immagine: CR

Immagine: CR

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